Caccia al kWh e flash mob per “M’illumino di meno” Università di Pisa ateneo Green?

Quest’anno l’Università di Pisa aderisce (insieme a molti altri atenei) all’iniziativa “M’illumino di meno” lanciata dal programma radiofonico Caterpillar, dedicata alla promozione di una coscienza ecologica dei singoli: da 14 anni invita a “spegnere tutte le luci che non sono proprio indispensabili alle 18 di un pomeriggio di febbraio”.
Per l’iniziativa UniPi ha organizzato un flash mob di “caccia agli sprechi”, in cui studentesse e studenti si mobiliteranno per trovare ed eliminare gli sprechi in un dipartimento: luci rimaste accese, porte e finestre lasciate aperte, etc. condividendo il gesto con un selfie o un filmato del momento.

È certo un bene promuovere atteggiamenti consapevoli e diffondere buone pratiche di risparmio energetico, e il contributo individuale di ognun di noi è importante, ma non basta. Lo sforzo di abbassare un calorifero o spegnere una luce una volta all’anno, dovrebbe essere il punto di partenza per un progettualità di lungo periodo sulle politiche energetiche dell’Università, che puntino sì al coinvolgimento consapevole delle persone, ma che non trascurino altri aspetti ben più determinanti in termini di impatto ecologico: ridurre gli sprechi sistematici migliorando le condizioni architettoniche degli stabili, disporre un servizio efficiente per la raccolta differenziata, utilizzare in maniera intelligente gli impianti di climatizzazione, ecc.

L’università può assumere un ruolo determinante nel promuovere forme di cultura ecologica, con ricadute molto importanti sulla società; deve però coinvolgersi costantemente e concretamente in prima persona prima ancora di promuovere i flash mob che rimangono un fatto sporadico e con una valenza prettamente simbolica.

Orto 2017: cosa è stato fatto e perché

È stato un anno molto interessante per il progetto orto, dopo i numerosi tentativi e le molte sperimentazioni degli ultimi 3/4 anni siamo riuscit* a ottenere dei risultati interessanti e abbiamo deciso di condividerli.

Non si tratta soltanto di risultati in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, perché il progetto non ha lo scopo di provvedere al sostentamento alimentare completo di una trentina di persone, vuole invece essere un luogo di dibattito, sperimentazione e divulgazione sui temi che riguardano l’ambiente, l’alimentazione e la produzione del cibo.

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UN’AULA X TUTT*

L’Università di Pisa vive una drammatica carenza di spazi per le/gli student*: la stragrande maggioranza delle aule viene chiusa subito dopo la fine delle lezioni, i poli bibliotecari e le altre aule studio sono inaccessibili la sera e durante il weekend. I luoghi dove i/le circa 50.000 iscritt* dell’ateneo possono studiare si riducono a pochi spazi autogestiti, anch’essi sotto minaccia costante da parte dell’amministrazione dell’università.

Considerando soltanto i dintorni del polo Fibonacci, gli spazi a disposizione per studiare oltre l’orario di chiusura erano finora eXploit, l’aula studio Pacinotti, l’aula ponte (solo fino alle 21), le aulette di matematica e l’aula X. Quest’ultima, annessa alla biblioteca di Matematica, Informatica e Fisica e fino a pochi giorni fa aperta anche la sera, è stata chiusa senza un reale motivo pratico o di sicurezza e soprattutto senza coinvolgere gli/le student* né fornire prospettive per il futuro; questo è avvenuto nonostante la trattativa successiva all’occupazione dell’aula ne prevedesse l’apertura anche negli orari serali. Quel che è grave di questa vicenda non è soltanto la limitazione in maniera arbitraria e non necessaria del campo delle disponibilità di un* student*, ma la riproduzione di un’intera simbologia di chiusura, compartimentazione e innalzamento di barriere che caratterizza le trasformazioni della nostra università. In parallelo, si assiste a una continua centrifugazione della popolazione studentesca dal centro alle periferie della città, come è avvenuto per il Dipartimento di Chimica, per gli spazi della Sapienza e come presto avverrà nuovamente per Scienze Politiche.
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Perché domenica voteremo sì:un contributo di Francesco Lombardi

La data del referendum sulle concessioni petrolifere si avvicina, ma il dibattito pubblico e scientifico è ancora influenzato da argomentazioni che risultano poco utili relativamente all’impatto concreto della scelta di cui si discute. Lasciando da parte i dettagli formali del quesito referendario – ormai reperibili su qualsiasi sito web o testata giornalistica – si cerca qui di chiarire in sintesi: cosa succede votando SI o NO ?

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Illustrazione di Antonio Sortino

Votando SI, l’emendamento introdotto dalla legge di Stabilità del 2016 che consente alle compagnie estrattive di sfruttare i giacimenti “fino al termine della vita utile”, anziché fino alla naturale scadenza dei contratti, viene abrogato. Le compagnie saranno quindi tenute a rispettare i termini concordati.
E per quale ragione non dovrebbero farlo, in effetti? Per quale motivo si dovrebbe concedere una proroga a tempo indeterminato – come non accade in nessun altro Paese UE – ai titolari delle concessioni? L’Italia si è forse improvvisamente scoperta una “piccola Arabia Saudita” ed urge un provvedimento per non sprecare un’enorme ricchezza? Si rischia, in alternativa, una maggiore dipendenza energetica da Paesi come Russia e Libia?

Nulla di tutto ciò. Per evitare i tranelli insiti nel dibattito corrente è importante chiarire alcuni concetti chiave: innanzitutto, una vittoria del SI non avrebbe un impatto immediato, bensì dilazionato nell’arco di diversi anni a seconda dei casi, il ché esclude i paventati licenziamenti di massa e altri danni simili; in secondo luogo, i giacimenti di cui si discute sono molto piccoli e tipicamente esauriscono il loro picco produttivo in tempi estremamente ridotti –per la maggior parte l’hanno anzi già ampiamente superato da anni.

Un po’ di dettagli, basati su dati del Ministero dello Sviluppo Economico. Le concessioni interessate dal referendum sono in tutto una trentina; di queste:

– Nove hanno già richiesto delle proroghe ai termini previsti dal contratto (5 o 10 anni a seconda dei casi), e potranno ottenerle anche in caso di vittoria del SI; sono tutte concessioni molto datate che hanno ampiamente superato il picco di produzione già negli anni ‘90, e stanno semplicemente “raschiando il fondo del barile”, cosa che possono tranquillamente continuare a fare nei 5 o 10 anni di proroga estraendo tutto il rimanente – ovvero, in caso di abrogazione dell’emendamento non risentirebbero di alcuna perdita concreta.
– Altre diciassette andrebbero, in caso di esito referendario positivo, a scadenza del contratto, che significa dismissione nel 2017 per le più vecchie (che, come sopra, hanno ampiamente superato il picco produttivo e sono “alle briciole”) e nel 2027 per le più recenti (che avranno quindi tutto il tempo di continuare ad estrarre la quota più significativa di idrocarburi presenti).
[fonte Dario Faccini, ASPO Italia – dati MISE; url: https://aspoitalia.wordpress.com/2016/03/07/le-bufale-sul-referendum-del-17-aprile/]

In sostanza, si andrebbero a chiudere in tempi brevi le concessioni più vecchie e irrilevanti, mentre le più recenti avrebbero a disposizione ancora 10 anni, più che sufficienti a superare il picco di produzione e a lasciare inutilizzata solo una quota irrisoria degli idrocarburi presenti. Da ciò appare chiara anche l’inconsistenza del rischio di crisi geopolitiche per carenza di idrocarburi, dal momento che fino al 2027 la perdita di produzione sarà piccolissima e progressiva. Unica eccezione a questa dinamica sembra essere la concessione D.C. 1.AG, ancora piuttosto produttiva e a scadenza breve (2018); ciononostante l’impatto di una sua dismissione, preso singolarmente, sarebbe ampiamente trascurabile.

Preso atto del fatto che una chiusura progressiva e dilazionata nel tempo di giacimenti per la maggior parte in fase calante non comporterebbe alcuna calamità economica o geopolitica, non sembrano esserci ragioni per concedere un’inattesa proroga a tempo indeterminato alle compagnie estrattive, invece di far rispettare i contratti stipulati. Scelta che rappresenterebbe, di fatto, un ingiustificato incentivo giuridico alle fonti fossili, in una fase in cui l’Italia si è impegnata insieme ad altri 153 Paesi – nell’ambito della COP21 di Parigi – ad uscire in tempi brevi dalla dipendenza da idrocarburi. A questo proposito si sente ripetere da più parti che l’Italia ha già raggiunto l’obiettivo comunitario, prefissato per il 2020, di soddisfare per il 17% il proprio fabbisogno energetico con fonti rinnovabili; sebbene questo dato sia corretto, appare del tutto irrilevante alla luce dei più recenti impegni presi alla conferenza di Parigi, che impongono un risultato molto più significativo del già raggiunto 17%, ed irrealizzabile senza un’opportuna disincentivazione delle fonti convenzionali (e.g. carbon tax) che renda gli impianti rinnovabili più competitivi e attraenti per gli investitori. Votare SI al referendum significa, concretamente, negare un incentivo giuridico alle fonti fossili – incentivo del quale non hanno alcuna necessità essendo già ampiamente favorite. Per quanto il referendum non abbia alcun potere di definire una politica energetica diversa e più improntata alle fonti rinnovabili, rappresenta comunque la possibilità di dare un segnale forte circa la volontà dell’opinione pubblica di perseguire gli impegni presi a Parigi e di concentrare qualsivoglia forma di incentivazione non già sulle fonti ampiamente dominanti e favorite, bensì su quelle fonti che necessitano di uno specifico supporto politico.

Per queste semplici ragioni, al di là di qualsiasi questione d’impatto ambientale o turistico – non meno importanti, ma viziate da dati poco affidabili – votate SI al referendum del 17 Aprile.

L’autore è laureato (Laurea Magistrale) in Ingegneria Energetica; ha competenze relative a giacimenti di idrocarburi, produzione di potenza da fonti rinnovabili, e legislazione in ambito energetico e ambientale.

eigenLab alla settimana scientifica!

In questi ultimi mesi eigenLab ha partecipato all’organizzazione della “Settimana scientifica”, evento che si svolge ogni anno al Liceo scientifico “Ulisse Dini”. Il progetto, che sarà presentato al pubblico tra il 16 e 18 aprile, consiste nella presentazione da parte degli alunni di quello che hanno creato nei mesi precedenti all’evento. A gennaio, eigenLab ha proposto la realizzazione della pila di Volta, di un motore magnetico bifase e del generatore di Van de Graaff, ovvero un laboratorio incentrato sulla produzione di energia DIY (Do It Yourself) Continua a leggere