IN SUPREMÆ DIGNITATIS

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dignità s. f. [dal lat. dignĭtas -atis, der. di dignus «degno»; nel sign. 3, il termine ricalca il gr. ἀξίωμα, che aveva entrambi i sign., di «dignità» e di «assioma»]. – 1. a. Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso.

Certe persone non hanno una dignità. Semplicemente non ce l’hanno. Quel qualcosa che ti fa dire “Certo, sarebbe un’ottima soluzione, ma non posso farlo: non posso cadere così in basso” per loro non scatta.
Questa è la prima riflessione che sorgeva all’indomani dell’ultimo gesto dell’Università nei nostri confronti: l’Università di Pisa ha infatti chiuso nuovamente il cancello che collega il nostro spazio al resto dell’area Pontecorvo.

Scriviamo “nuovamente” perché quel cancello era già stato chiuso all’inizio dell’anno accademico in corso sfruttando il tipico spopolamento della città negli ultimi mesi estivi. All’epoca avevamo documentato l’evento con una serie di post in cui raccontavamo le nostre assurde vicende durante la “reclusione” che culminava con la nostra liberazione.

Ovviamente non eravamo rimast* veramente intrappolat* all’interno del casottino, ma ci era sembrato un modo simpatico per mettere in evidenza le criticità della scelta di chiudere una parte del polo didattico durante l’orario d’apertura dello stesso, specialmente alla luce del fatto che nessuno/a ci avesse coinvolt* o almeno mess* al corrente di questa scelta. Notare che quando scriviamo “ci” in questo caso facciamo riferimento a tutta l’utenza del polo Fibonacci.

Dovendo sopperire alla mancanza di comunicazione da parte dell’ateneo, contattammo due figure dell’amministrazione e chiedemmo loro spiegazioni, ricevendo una risposta rassicurante: a quanto dicevano il cancello non era stato chiuso con l’intento esplicito di impedirci l’accesso, ma si trattava dell’applicazione di una direttiva molto più generale. Una parte di noi ci ha creduto, un’altra no, probabilmente il seguito prova quale aveva torto e quale ragione.

You Shall Not Pass

Un’applicazione pratica della nuova direttiva d’ateneo.

Ci teniamo a sottolineare che per noi non è un gesto semplice quello di instaurare un dialogo con l’attuale amministrazione dell’Università di Pisa: le prime persone che dopo il distacco dell’energia elettrica (a proposito, oggi ricorre sfortunatamente il secondo anniversario da quel momento buio) hanno provato a discutere con l’attuale rettore Paolo Mancarella sono state ricevute con la richiesta di consegnare dei documenti di riconoscimento e, a distanza di un anno da quel gesto, l’Università è arrivata addirittura ad avviare una procedura disciplinare (conclusasi con un niente di fatto) contro un suo dottorando quando ha letto il suo nome associato ad un progetto di eigenLab su un volantino.
Ci chiediamo quindi se l’amministrazione di questo ateneo si renda conto del fatto che ogni volta che utilizza la repressione invece del dialogo erode quel poco che rimane della nostra fiducia nei confronti dell’istituzione che rappresenta, ma, vista la perseveranza con cui adopera le stesse misure a distanza di anni, ci sentiamo sempre più cert* nel dire che non solo non hanno una risposta, ma probabilmente non hanno ancora capito la domanda.

Il confronto non è quasi mai semplice, lo sappiamo bene noi che dedichiamo almeno una volta a settimana a discutere con chiunque voglia partecipare di come vivere quello spazio che l’Università di Pisa per qualche ragione preferirebbe vedere inutilizzato, noi che, nonostante gli esami alle porte, stiamo usando il nostro poco tempo libero per scrivere queste righe e informare la componente studentesca (e non) dell’ennesimo gesto repressivo nei nostri confronti, sopperendo anche questa volta alla mancanza di comunicazione da parte dell’Università. Nonostante la totale assenza di aspettative a riguardo, saremmo ben felici di ricevere una risposta a questo comunicato, ma non è mai successo e sappiamo che anche questa volta non succederà.

Una seconda riflessione riguarda il periodo in cui è avvenuto questo fatto. Dimenticate per un attimo la chiusura del cancello dell’anno scorso e andate avanti velocemente al presente passando per la fase più acuta dell’emergenza COVID-19.
Una delle nostre rivendicazioni è sempre stata quella sulla legittimità del nostro utilizzo del casottino: riteniamo corretto che studenti/studentesse (e non solo) possano scegliere autonomamente come utilizzare gli spazi a loro dedicati perché sono loro a viverli. Non è quindi stato facile per noi allontanarci dal casottino, un luogo che per noi significa molto, e che, nonostante evidentemente l’Università non sia d’accordo, percepiamo come “nostro”, ma l’abbiamo fatto perché era un modo per proteggere tutte le persone che lo attraversano da eventuali contagi in maniera non dissimile da quella in cui molt* student* non sono tornat* a casa durante la fase di diffusione dell’epidemia per paura di contagiare i propri cari.

Spazio di eigenLab & socialità

Un momento di socialità negli spazi del giardino a fianco del casottino.

Sfruttare quello che è stato un atto di necessità e di responsabilità (ci teniamo a far notare che se il casottino non brulica di attività in questo momento non è per assicurare il rispetto delle regole, ma per un gesto di responsabilità collettiva da parte di tutte e tutti) per tentare di allontanarci dal nostro spazio è un gesto meschino che, come spiegavamo in apertura, ci aspettiamo solo da chi non possiede quella “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità e dalla sua stessa natura di uomo“, ma d’altronde non ci eravamo illus*.

Chissà se la prossima volta che ci verrà chiesto di fare un passo indietro per il benessere collettivo saremo disposti a correre il rischio di venir pugnalat* alle spalle da persone senza dignità.

D’altra parte, dei segnali allarmanti già si erano presentati qualche giorno prima, quando, in seguito alla consueta manutenzione del verde, uno studente che attraversava il Polo Fibonacci ci ha inviato delle foto del casottino.
Potrebbe essere utile spiegare che quella della manutenzione del verde è una giornata che noi temiamo anche in tempo di pace: nel tentativo di tenere sotto controllo l’altezza del prato i giardinieri hanno più volte decapitato molte delle piante del nostro orto. Per questa ragione, quando la giornata della manutenzione si avvicina, in genere cerchiamo di segnalare tutte le piante in maniera inequivocabile e magari di essere anche presenti in modo da poter indicare quelle meno visibili: una volta siamo anche arrivat* a falciare da sol* il prato, armat* unicamente di forbici.

Questa volta è andata diversamente dal solito: oltre ad una strage senza precedenti delle nostre piante ed alberi da poco piantati, incluse alcune specie protette che gli operatori dovrebbero conoscere bene, abbiamo assistito alla distruzione del cartello in legno che segnalava la presenza dell’orto e allo smantellamento di uno stand che in passato avevamo utilizzato per appendere degli striscioni. Non sappiamo ancora con certezza come sia andata la mattanza, quindi per ora non punteremo il dito contro nessuno, ma sarebbe andata diversamente se noi fossimo stat* lì.

Il casottino resiste

Porgiamo quindi l’estremo saluto allo stand per gli striscioni, ricordandolo nel suo momento migliore: quando all’indomani del distacco dell’energia elettrica del nostro laboratorio l’Università ha represso per ben sette volte i nostri pacifici tentativi di informare con delle innocue scritte su dei teli studenti e studentesse degli attacchi a noi rivolti, mandando il personale di portineria del polo Fibonacci a strappare qualsiasi cosa venisse appesa a quello stand; addirittura, durante uno di questi episodi, è stata vandalizzata persino la bandiera che avevamo issato a sostegno del popolo palestinese a seguito di una serie di incontri che avevamo organizzato a riguardo.

Non ricordiamo quegli eventi per vittimismo o per cercare di screditare l’immagine di quest’amministrazione (e non ci sembra che ce ne sia neanche bisogno, visto che di solito basta rendere pubbliche le sue azioni e a screditarsi ci pensa da sola), ma perché a quanto pare gli ingredienti di questa fase della politica di Unipi erano tutti già presenti due anni fa e, nonostante ciò, noi siamo ancora qui a riprova del fatto che nell’eterna lotta tra chi chiude i cancelli e chi li apre saranno sempre i secondi ad averla vinta.


Miniserie chiusura del cancello

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