COP 17 – Lo stoccaggio di CO2.

Federico Di Traglia(1) e Danilo Di Genova(2)
(1)     Dipartimento di Scienze della Terra – Università di Firenze
(2)     Dipartimento di Scienze Geologiche – Università Roma Tre

 

Si è concluso il CoP17. Solite certezze sulla mancanza di democrazia e soliti dubbi sugli impegni dei governi in chiave “verde”. Il nuovo asse euro-cinese dichiara di impegnarsi nella produzione di energia da fonti rinnovabili, dimostrando di non voler cambiare rotta in termini di “stile di produzione”. Non una parola sulla quantità di energia già prodotta, del sistema di produzione fortemente centralizzato, dei settori di impiego di energia fallimentari dal punto di vista di creazione di ricchezza, benessere e salute (uno fra tutti è il ciclo dei rifiuti, [1]).Andando a spulciare gli accordi, ci si può soffermare su un aspetto che riguarda il rapporto tra il mondo della ricerca e il sistema di produzione di energia, o meglio ancora di come la ricerca sia strumento per perpetuare un sistema produttivo energivoro e inquinante. Si tratta dell’approvazione degli studi in materia di stoccaggio di CO2 (Carbon Capture and Storage, CCS [2] [3]) e del loro inserimento nel computo dei crediti di CO2.

Si tratta di un sistema per abbattere la quantità di CO2 nell’aria andando a “fissarla” in serbatoi geologici o oceanici/lacustri. Per i primi si tratta della re-iniezione in vecchi reservoir di idrocarburi o creazione di minerali ricchi in carbonio mediante alterazioni di rocce tramite fluidi ricchi in CO2, mentre per gli oceani e i laghi si tratterebbe di mandare la CO2 in profondità tra i 1000 e i 3000 m, facendo si che durante la risalita, questi blob di gas vengano riassorbiti dall’acqua, mediante dissoluzione [2].

Oltre agli evidenti problemi sulla sicurezza di questi sistemi che possono essere riassunti in nella mancanza di sicurezza dei vecchi reservoir e dei laghi (il mondo è pieno di “risalite di gas” in laghi vulcanici con conseguenze anche letali [3]), dall’alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche delle acque oceaniche e dalle conseguenze di cambi di volume nell’alterazione di rocce e creazione di minerali differenti, con caratteristiche fisiche differenti (possibilità di sprofondamenti catastrofici o microsismicità), questo sistema richiede un dispendio energetico enorme e la costruzione di infrastrutture per il trasporto della CO2, con conseguente aumento dei costi di produzione e incremento del quantitativo di CO2 emesso [4].

Questi progetti coinvolgono sia società che poco hanno a che fare, apparentemente, con lo stoccaggio di CO2, come la principale azienda italiana di fornitura di energia elettrica (ENEL), sia istituti di ricerca italiani (CNR, INGV, alcune università). Quest’ultimo aspetto ci pone la questione di quanto la ricerca italiana sia pronta alla “conversione ecologica” dei sistemi produttivi indicata chiaramente da Guido Viale [1]. Una riprogrammazione del sistema produttivo che abbia come punti fissi la sostenibilità ambientale, con sistemi di produzione energetici diffusi e produzioni a bassa percorrenza, e una ri-valorizzazione del lavoro intendendolo come bene comune, passa necessariamente dalla rivisitazione dei programmi di ricerca, di quel know how che enti e università posso mettere a disposizione. La possibilità di immagazzinare la CO2, se realmente fosse possibile e a basso impatto sia in termini di rischi ambientali che di spesa, sarebbe un vantaggio per tutti, perché di CO2 ne continueremmo sempre a produrne. La differenza è la prospettiva, la traiettoria che vogliamo seguire. Il mondo della ricerca deve comprendere che è necessario abbandonare il sistema di produzione attuale, che oltre a creare disastri ambientali a diversi livelli ha prodotto il disfacimento della ricchezza collettiva e una forte disgregazione sociale. Conoscenze e tecniche devono essere messe a disposizione della collettività al fine di realizzare una reale inversione di rotta, che coinvolga sia gli stili di vita individuali che, sopratutto, il modello di produzione a livello globale.

Testi citati

[1] Guido Viale, La conversione ecologica, NdA, 2011.

[2] http://en.wikipedia.org/wiki/Carbon_capture_and_storage#cite_note-96

[3] http://www.ipcc.ch/pdf/special-reports/srccs/srccs_wholereport.pdf

[4] http://www.economist.com/node/13235041?story_id=13235041

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