9 Dicembre: dagli spazi della cultura ad una cultura degli spazi.

Lo scorso  9  Dicembre si  sono conclusi  i  lavori  della CoP, la Conferenza delle Parti,  tenutasi a Durban, SudAfrica. Anche quest’ultima conferenza, vissuta dai più senza aspettative, è stata un fallimento: nessuna decisione di limitare le emissioni e nessuna disponibilità da parte dei paesi maggiormente inquinanti a trattare su tale questione.

Fin da subito abbiamo denunciato il fatto che una conferenza di tale importanza, che prende decisioni sul clima e sulle pratiche da adottare affinchè il surriscaldamento globale non danneggi irreversibilmente l’intero ecosistema, è stata messa da parte sia dai media mainstream che all’interno degli spazi che viviamo ogni giorno, come la nostra facoltà.Il tema ambientale riguarda da vicino un ambiente scientifico come il nostro, mostrando una connessione inscindibile tra sapere, scienza e politica: per questo ci siamo sentiti in diritto di dare spazio e voce all’interno del Polo Fibonacci a questa tematica, occupandolo per l’intera serata, e la grande partecipazione, non solo alla festa successiva ma anche al dibattito, mostra quanto fosse necessario, all’interno dell’università, prendere parola a riguardo.

Prevedendo l’esito, già scritto, della conferenza di Durban, abbiamo cercato di impostare un piano di discussione che non si limitasse ad un’analisi critica completamente slegata dalle nostre possibilità di azione, ma si concentrasse invece su come è possibile costruire a partire dai territori una reale alternativa all’attuale modello di sviluppo e quindi anche alla crisi climatica.

 

Il dibattito si è aperto con l’intervento di Luca Tornatore, attivista di Rigas, che ha cercato di offrire una visione globale della questione climatica: non può essere un organismo come la CoP a trovare reali soluzioni al surriscaldamento, quando questa da 17 anni non fa altro che tutelare gli interessi dei grandi inquinatori attraverso meccanismi come quelli dei Carbon Credits che legittimano di fatto un modello di gestione delle risorse fortemente inquinante e non sostenibile.

Le testimonianze dirette di diverse esperienze territoriali ci parlano invece di come è possibile un’alternativa al modello di gestione delle risorse ripartendo dal locale e da modelli decentralizzati.

In quest’ottica, il contributo dei ragazzi del Presidio permanente di Chiaiano è stato toccante: la narrazione di un intero quartiere che, spontaneamente, costruisce barricate per impedire ai camion di rifiuti l’accesso alla discarica è il racconto di una lotta che, dal basso, è riuscita ad acquisire una forza tale da obbligare le istituzioni alla chiusura della discarica stessa.

Il problema di base che emerge dalla realtà napoletana ha la stessa natura di quello che ha portato all’attuale catastrofe climatica e consiste nell’applicare soluzioni temporanee e dannose per chi vive in un determinato territorio e per l’ambiente stesso, solo al fine di procurare profitto agli stessi che le propongono e le applicano. La grande forza delle mobilitazioni di Chiaiano è stata quella di riuscire, nell’emergenza e attraverso il coinvolgimento diretto di molti, a sensibilizzare le persone ad un approccio più attento e responsabile alla gestione dei rifiuti, giungendo ad un’efficienza della raccolta differenziata impensabile solo pochi anni prima e dimostrando così l’inutilità di nuove discariche e inceneritori.

È quindi attraverso la rivendicazione collettiva di una gestione diversa dei rifiuti, praticata a livello locale e accompagnata dalla responsabilizzazione individuale di ognuno, che si può arrivare ad un sistema a “rifiuti zero”, che liberi le strade delle nostre città senza al contempo inquinarne il suolo l’aria l’acqua.

Esperienze completamente diverse, ma che rispondono alla stessa problematica, sono quelle testimoniate dalla BiOsteria di Parma e dall’osteria Otro Mundo di Empoli, dove vengono serviti solo prodotti biologici, di stagione e coltivati localmente da piccoli produttori. La loro esperienza è volta a palesare come si possono ottenere buoni frutti dalla natura semplicemente rispettando i suoi tempi, senza la necessità di violentare la terra ed i raccolti con pesticidi e sostanze chimiche diserbanti. Un netto rifiuto quindi dell’agricoltura industriale e dello stesso modello economico globale che ha portato all’emergenza climatica e che ci consente di avere “tutto e subito” al prezzo, non specificato al momento dell’acquisto, di concedergli noi, attraverso questo tipo di consumo, la libertà di inquinare l’ambiente e di  espropriare la terra a chi si sostenta solo grazie a essa. Altro problema di non poco conto è sicuramente quello del trasporto delle merci: siamo arrivati ormai ad una situazione paradossale e assurda per cui definiamo “fresco” e acquistiamo tutto ciò che si trova nei supermercati, senza interessarci del viaggio che ha compiuto quel prodotto prima di arrivare nelle nostre tavole.

Queste testimonianze ci hanno insegnato come è realmente possibile incidere sul miglioramento del clima a partire da esperienze collettive che permettano di rivoluzionare i nostri stili di vita quotidiani e quanto sia importante creare una rete nazionale di condivisione di tali esperienze, che possono essere la scintilla per iniziare percorsi simili proprio sui nostri territori.

Riappropriarci della Facoltà di Scienze per portare alla luce queste tematiche dovunque ignorate ma a noi molto vicine vuol dire proporre una nuova e più democratica gestione degli spazi e allo stesso tempo una formazione completa, che non punti solo ad istruire studenti ma a produrre persone pronte ad abitare il mondo in maniera responsabile e sostenibile.

Assemblea SCienze In Agitazione & eigenLab

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