È notizia di poche ore fa che la discussione su SOPA e PIPA sia stata rimandata a data da destinarsi e che i principali esponenti favorevoli a queste leggi liberticide stiano facendo i primi passi indietro. Ciò che ha portato a questo risultato è stato, da una parte, l’auto-oscuramento per protesta di molti siti mainstream, come Wikipedia, WordPress, Wired, Google, affiancati da un esercito di portali piu’ piccoli e meno conosciuti, dall’altra l’imponente mobilitazione dell’opinione pubblica. Non è da sottovalutare, poi, l’efficacia dell’attacco informatico da parte del gruppo di cyberattivisti Anonymous, scatenata dall’oscuramento di Megaupload da parte dell’FBI, a molti siti del governo USA, di major e case discografiche americane, a cui hanno partecipato anche tantissimi utenti non facenti parte del gruppo hacker.L’impatto di questi avvenimenti è stato così dirompente, che in molti non hanno esitato a definire la vicenda come l‘inizio della prima vera e propria guerra combattuta sul Word Wide Web. Naturalmente, la vittoria di una sola battaglia non porterà alla rinuncia delle brame di censura e controllo che le major hanno nei confronti dell’Internet libero che sogniamo: ci sono troppi interessi dietro alla regolamentazione dei flussi di sapere e siamo consapevoli che la strada verso una diversa concezione della proprieta` intellettuale non e` certo in discesa.
Queste due leggi, infatti, rientrano in un disegno più complesso, che fonda le sue radici nel Digital Millennium Copyright Act (DMCA) (da Wikipedia: “Il DMCA rende illegali la produzione e la divulgazione di tecnologie, strumenti o servizi che possano essere usati per aggirare le misure di accesso ai lavori protetti dal copyright (anche conosciuti come DRM) ed inoltre criminalizza l’elusione di un dispositivo di controllo d’accesso, anche quando non vi sia un’effettiva violazione del diritto d’autore”).Anche la chiusura di Megaupload è stata dettata da una scelta politica: il ritiro del SOPA e del PIPA non potevano avvenire a costo zero ed è stato necessario dare una rassicurazione alle major (tra le principali finanziatrici delle candidature presidenziali USA) sul fatto che rigide leggi sul copyright già esistono e che verranno più severamente applicate.
Per arrivare preparati al conflitto imminente, e riuscire a far si che questo potenziale non si esaurisca semplicemente nella protesta per la chiusura di siti come Megaupload, dobbiamo cominciare a porci collettivamente delle domande sul cosa significhi costruire nuove forme di democrazia in rete e, soprattutto, su quali siano i primi passi da muovere per iniziare nella pratica questa costruzione. Come sempre, e` dalle lotte che dobbiamo partire per iniziare ad elaborare una risposta; queste, però, non devono fermarsi alla difesa dello stato attuale di Internet, ma riuscire a conquistare spazi di autonomia sempre maggiori con l’obbiettivo di una rete realmente libera e orizzontale.
Il dato importante che ci viene consegnato da queste giornate è quello di una nuova disponibilità al conflitto da parte di persone sempre piu` consapevoli di non essere semplici utenti di Internet, ma di essere proprio gli stessi che ogni giorno hanno dato vita e contenuto ad Internet stesso. Il riconoscersi come una comunità, conscia delle sue possibilità e della sua forza, sia comunicativa che materiale nei suoi mezzi di azione, ha reso possibile questa vittoria: di fronte alla negazione del diritto alla condivisione, che è la base su cui si costituisce il concetto stesso di rete, era necessario che ciascuno partecipasse al blocco con la consapevolezza che non sarebbe bastato condividere un link o mettere un “mi piace” per cambiare le cose.
Questo potenziale, ancora del tutto inespresso, e` l’unico in grado di modificare i rapporti di forza che subiamo ogni giorno nella rete. Navigare in Internet non significa più accedere a contenuti creati da altri, non si tratta di una nuova forma di televisione; andare in rete significa comunicare, condividere e costruire. Siamo convinti che sia questo il dato da cui partire per capire come dare forma al comune digitale.I punti di intervento sono numerosi, dal tema del copyright fino al digital divide, dall’open source ai social network, dai siti indipendenti fino ad arrivare alla struttura stessa della rete. Una rete in cui tutti siano davvero liberi non puo`, pero` significare un Far West: i luoghi in cui non c’è una forma di autorganizzazione dei soggetti che li abitano sono quelli che vengono soggiogati per primi.
Dobbiamo individuare e riconoscere quali sono i processi costituenti, quali sono i punti focali del nostro discorso quando parliamo di Internet. Dobbiamo riprendere questo spazio di discussione perché la rete è un immenso laboratorio, che nei prossimi anni sarà continuamente soggetto ad altre sperimentazioni capitaliste, e sul quale si stanno ripresentando sempre piu` accentuati gli stessi rapporti di forza radicati nel mondo reale (in questo senso l’articolo dei Wu Ming ha già riaperto la discussione: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241).
Ormai e` chiaro che una regolamentazione imposta dall’alto che, tentando di proteggere il copyright, genera leggi che sorvegliano e limitano la navigazione di ognuno di noi non e` piu` accettabile: concludendo con le parole dell’appello di Anonymous: “Cosa può mai risolvere un attacco DDoS? Che cosa può essere attaccare un sito rispetto ai poteri corrotti del governo? No. Questo è un richiamo per una protesta di grandezza mondiale sia su internet che nella vita reale contro il potere.”.
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