Salvini esce vittorioso dalla vergognosa vicenda dell’Aquarius dichiarando infantilmente «Fare la voce grossa paga». L’11 giugno si sparge la notizia che 629 migranti sono stati accolti a bordo della nave di SOS Méditerranée, bloccata immediatamente da un deciso rifiuto dell’uomo forte del governo, neo ministro dell’Interno italiano. Una dinamica muscolare e violenta, di retorica fascista e razzista, ben più significativa dell’esatta dinamica dei fatti. Solo il giorno successivo il nuovo governo spagnolo annuncia di offrire l’attracco a Valencia per la nave di migranti; l’Aquarius ha così intrapreso un viaggio di circa 1500 km via mare, colpita dal maltempo, con onde di 4 metri e venti da 35 miglia orarie. Infine, la sosta in Sardegna per aspettare il miglioramento delle condizioni meteo e ricevere viveri dalle autorità italiane. Ma in quale senso questa vicenda incarna il fascismo nel 2018? C’è chi chiama alla responsabilità, con ridicole accuse rivolte verso il governo di essere in campagna elettorale permanente; ma come spesso accade la mistificazione è nel linguaggio. Del resto lo storico Emilio Gentile ha descritto la via italiana al totalitarismo mettendo a fuoco l’elemento della mobilitazione permanente delle masse: giovani e intimoriti balilla (che altrimenti il panino con la marmellata non te lo davano), atletici saluti romani, scroscianti applausi davanti a un crapone che annuisce con la bocca stretta a culo di gallina da un balcone di una piazza romana. E non si tratta perciò di campagna elettorale, ma di mobilitazione permanente che oggi innerva la comunicazione nei social network e di riflesso sui siti web e le carte stampate delle testate giornalistiche; slogan, opinioni di qualche centinaio di caratteri, sempre sensazionali, sempre infiammate, sempre impetuose, che irrompono torrentizie e implacabili per poi esaurirsi nell’arco di qualche ora finché un nuovo contenuto arriverà a sostituirle altrettanto velocemente. L’identitarismo è innegabilmente fascista finché non può concepirsi se non in termini di frontiere, esclusione di un fuori per la definizione di ciò che è dentro. E allora iniziamo a tradurre questa strana lingua: «prima gli Italiani» significa «gli altri vengono dopo o mai»; ma chiaramente non c’è noi senza definizione degli altri, non c’è altri senza definizione di frontiere concettuali o fisiche. Oppure se non alla luce di un «diritto al possesso comunitario della superficie della terra» non può darsi altra grammatica che non sia legittima. Chiamiamo le cose con il loro nome, mobilitazione permanente, slogan, fascismi e razzismi, non sono argomenti di discussione, ma categorie etiche ed estetiche: o si sta da una parte o dall’altra, si è amici oppure nemici sin dal momento in cui si è aperto un periodo storico di nuove barricate del linguaggio. Gli unici termini che ci sentiamo di condividere sono quelli dell’invasione e del degrado: l’invasione del riflusso di cloaca sottoforma del quale ciclicamente si presenta il fascismo, il degrado a proposito dei linguaggi di chi sbraita, del cattivo gusto di chi vuole muri bianchi e popoli muti, o a proposito delle capacità empatiche di chi si spella le mani e ribolle di livore dietro a fetidi slogan. Tutte e tutti siamo responsabilizzat* politicamente, non c’è scampo, bisogna scegliere solo il lato della barricata, o le identità includenti senza barriere, oppure le identità escludenti fatte di frontiere.
Per questo rivendichiamo il diritto e l’obbligo a essere antifasciste e antifascisti ieri, oggi, domani.
Com’è profondo il mare nero del fascismo. Perché in fondo è merda che ribolle.
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